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L’attentato a Sigfrido Ranucci e la lunga scia di violenza contro i giornalisti italiani

Da Peppino Impastato a Sigfrido Ranucci, la lunga scia di violenze contro chi sceglie di raccontare la verità

L’attentato a Sigfrido Ranucci e la lunga scia di violenza contro i giornalisti italiani

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Giornalisti liberi, da Saviano a Ranucci, nel mirino di poteri e mafie che temono la forza della parola

Nel cuore della democrazia, la libertà di stampa dovrebbe essere inviolabile. Eppure, l’attentato alle auto di Sigfrido Ranucci ci riporta a un passato che credevamo lontano. Come ha ricordato il procuratore di Roma Francesco Lo Voi, non si deve permettere che l’Italia torni a “tempi bui”. Non è un episodio isolato, ma l’ennesimo capitolo di una storia drammatica: quella delle minacce, degli attentati e degli omicidi che hanno colpito giornalisti coraggiosi, colpevoli solo di voler raccontare la verità.

La libertà di informare non è mai stata scontata

Da Rosaria Capacchione e Roberto Saviano a Maurizio Costanzo, da Giancarlo Siani a Peppino Impastato, la storia italiana è segnata da una lunga sequenza di intimidazioni e violenze. L’attentato a Ranucci non è solo un atto contro un singolo giornalista, ma contro un principio fondamentale: il diritto dei cittadini a essere informati. Ogni volta che si tenta di mettere a tacere chi indaga, a perdere è la collettività.

Rosaria Capacchione e Roberto Saviano, 16 anni di paura

Il 14 luglio scorso si è chiuso un incubo durato sedici anni. La sentenza della Corte d’Appello di Roma ha confermato la condanna per le minacce lanciate nel 2008 dal boss Francesco Bidognetti e dal suo avvocato Michele Santonastaso contro Roberto Saviano e Rosaria Capacchione durante il maxiprocesso Spartacus. Quelle parole, pronunciate in un’aula di tribunale, hanno costretto Saviano a vivere sotto scorta. “Mi hanno rubato la vita”, ha commentato lo scrittore, ricordando che in Italia scrivere di mafia è ancora un atto di coraggio estremo.

Maurizio Costanzo, il tritolo che non spense la voce

Il 14 maggio 1993 Maurizio Costanzo e Maria De Filippi scamparono a un attentato mafioso in via Fauro, a Roma. Una Fiat Uno carica di cento chili di tritolo esplose pochi secondi dopo il passaggio dell’auto del giornalista. Cosa Nostra voleva punire chi, attraverso la televisione, aveva dato spazio a magistrati e testimoni nella lotta alla mafia. Costanzo, insieme a Michele Santoro, aveva aperto il piccolo schermo al coraggio di uomini come Giovanni Falcone. Quella sera, per puro caso, l’Italia non perse una delle sue voci più libere.

Mauro Rostagno e la verità che non si spegne

Il 26 settembre 1988 Mauro Rostagno veniva assassinato a Valderice. Sociologo, attivista e giornalista, denunciava i legami tra politica e mafia nel Trapanese. Il suo impegno, portato avanti anche nella comunità Saman, gli costò la vita. Solo nel 2021 la Corte di Cassazione ha confermato la matrice mafiosa dell’omicidio, dopo decenni di depistaggi e false piste. Rostagno rappresenta ancora oggi la testimonianza di chi non arretra davanti al potere.

Giancarlo Siani, un giovane cronista contro la camorra

Aveva solo 26 anni Giancarlo Siani quando fu assassinato sotto casa, a Napoli, il 23 settembre 1985. Nel suo articolo più celebre aveva rivelato i legami tra il boss Valentino Gionta e Lorenzo Nuvoletta, collegati alla mafia di Totò Riina. Bastò un’inchiesta scomoda per decretare la sua condanna a morte. La sua Mehari verde è oggi simbolo della libertà di stampa e del prezzo che essa può costare.

Giuseppe Fava, il giornalismo come missione civile

Giuseppe “Pippo” Fava fu assassinato il 5 gennaio 1984 a Catania, con cinque colpi di pistola alla testa. Fondatore del mensile I Siciliani, aveva denunciato le collusioni tra mafia, politica e affari, facendo nomi e cognomi. Per anni si cercò di nascondere la verità, ma la giustizia arrivò: condannati all’ergastolo Nitto Santapaola e Aldo Ercolano. Fava resta il simbolo di un giornalismo che non accetta compromessi.

Walter Tobagi, l’intelligenza uccisa dal fanatismo

Il 28 maggio 1980, a Milano, veniva assassinato Walter Tobagi, cronista del Corriere della Sera. A ucciderlo fu la Brigata XVIII Marzo, gruppo terroristico di estrema sinistra. Sergio Mattarella ricordò nel quarantennale della morte: “Fu ucciso perché libero, perché capace di leggere la realtà senza pregiudizi”. Tobagi aveva solo 33 anni, ma il suo nome resta tra quelli che hanno dato dignità alla professione.

Peppino Impastato, la voce che rideva della mafia

Il 9 maggio 1978 Peppino Impastato venne ucciso dalla mafia, lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Militante di sinistra e fondatore di Radio Aut, denunciava con ironia e coraggio il boss Tano Badalamenti. La sua morte fu inizialmente archiviata come suicidio, ma l’inchiesta del giudice Rocco Chinnici portò alla verità e alla condanna dei responsabili. Impastato è oggi un simbolo della resistenza civile contro l’omertà.

Carlo Casalegno e la fermezza contro il terrorismo

Vicedirettore de La Stampa, Carlo Casalegno venne colpito a morte dalle Brigate Rosse nel novembre 1977. Pagò con la vita la sua opposizione ferma al terrorismo, espressa in un articolo che invitava lo Stato a non arretrare. Morì dopo tredici giorni di agonia, ma il suo nome rimane legato alla difesa della democrazia e della libertà di parola.

Mauro De Mauro, il mistero di una verità scomoda

Il 16 settembre 1970 scomparve Mauro De Mauro, giornalista de L’Ora. Stava indagando sulla morte di Enrico Mattei e collaborava a un film di Franco Rosi. Non fu mai ritrovato. Molti parlarono di depistaggi, servizi segreti e silenzi di Stato. Il processo si concluse con l’assoluzione di Totò Riina, ma la verità resta sepolta con lui.

Le gambizzazioni e la paura nelle redazioni

Negli anni Settanta, anche giornalisti non uccisi furono colpiti nel corpo. Il 3 giugno 1977 Emilio Rossi, direttore del Tg1, fu gambizzato dalle Brigate Rosse a Roma, così come Indro Montanelli a Milano, colpito all’angolo tra via Daniele Manin e piazza Cavour. Atti che volevano piegare la stampa, ma che ne hanno invece rafforzato la determinazione.

Un filo rosso di coraggio e memoria

Dalle bombe ai proiettili, dalle minacce alle auto bruciate, l’Italia dei giornalisti coraggiosi continua a pagare un prezzo altissimo. Oggi, l’attentato a Sigfrido Ranucci ci ricorda che la verità, quando è scomoda, resta un bersaglio. Ma anche che ogni intimidazione è una ferita alla democrazia, e ogni giornalista libero è un baluardo che la difende.

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foto: Giancarlo Siani, cronista de Il Mattino, ucciso Il 23 settembre 1985


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19 Ottobre 2025
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