Quando pensiamo allo sfruttamento sul lavoro, immaginiamo scenari lontani, storie di altri tempi o di altri continenti. Eppure, nel 2025, ci ritroviamo ancora una volta a raccontare una vergogna tutta italiana. Nel Catanese, trentasette lavoratori di un supermercato sono stati costretti a lavorare oltre 60 ore settimanali, con retribuzioni da terzo mondo: 1,6 euro l’ora. In pratica, stipendi mensili di appena 700 o 800 euro. Una realtà che grida vendetta e che dimostra come il caporalato non sia un fenomeno limitato ai campi, ma si annidi anche tra gli scaffali dei supermercati.
Arresti e sequestro, ma il danno umano chi lo ripaga
Le indagini della Guardia di finanza hanno portato agli arresti domiciliari il rappresentante legale e il direttore commerciale della società, accusati di caporalato e autoriciclaggio. La stessa azienda, il cui valore è stimato in circa 3 milioni di euro, è stata sottoposta a sequestro preventivo. Ma al di là dei numeri, resta la domanda più amara: chi risarcirà la dignità calpestata di quei lavoratori? Giovani costretti a svendere il proprio tempo e la propria salute per paghe che offendono ogni senso di giustizia.
Un sistema che tollera e favorisce lo sfruttamento
Non si tratta di un caso isolato. Il lavoro sottopagato, il ricatto occupazionale, la mancanza di controlli efficaci: tutto concorre a rendere possibili situazioni come questa. È il frutto di un sistema che, dietro la facciata delle regole, permette ancora oggi di trattare i lavoratori come numeri, come ingranaggi usa e getta. E mentre si discute di salario minimo a livello nazionale, nella realtà quotidiana si continua a chiudere un occhio su condizioni che definire indegne è poco.
Il silenzio che uccide più delle ore di straordinario
Forse la cosa più grave è l’assuefazione collettiva a questo tipo di notizie. Quante volte abbiamo letto di paghe da fame e contratti fantasma senza che nulla cambiasse davvero? Ogni volta ci indigniamo, per qualche giorno, poi tutto torna nel dimenticatoio. Ma per chi lavora 60 ore a settimana per 1,6 euro l’ora, il silenzio è un altro schiaffo, forse il più doloroso.
Legalità a parole, sfruttamento nei fatti
Le leggi ci sono, i controlli anche, sulla carta. Ma finché chi sfrutta può farlo impunemente per anni, vuol dire che qualcosa non funziona. È facile proclamare la lotta al caporalato, salvo poi lasciarlo proliferare nei settori più insospettabili, come la grande distribuzione. L’arresto di due dirigenti e il sequestro di un’azienda non cancellano anni di soprusi. Servono interventi strutturali, controlli veri e una cultura del lavoro che torni a mettere al centro le persone.
Dignità, non elemosina, è questo che serve ai lavoratori
Non si chiedono miracoli, ma il rispetto delle regole minime di civiltà. Un lavoro onesto, pagato il giusto, senza dover sacrificare la propria vita per sopravvivere. È inaccettabile che nel 2025 si debba ancora lottare per questo. Raccontare storie come quella del Catanese fa male, ma è necessario. Perché solo mettendo in luce queste vergogne si può sperare di cambiare davvero.
15 Maggio 2025
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