Otto slide per disegnare il futuro di un colosso ferito. È questo il formato scelto dal Governo per illustrare il nuovo piano industriale dell’ex Ilva di Taranto, un documento che dovrebbe segnare la rinascita di una delle acciaierie più grandi d’Europa. Ma dietro le parole “piano a ciclo corto”, utilizzate dall’esecutivo per sintetizzare l’obiettivo di accelerare la decarbonizzazione e i lavori sugli impianti, i sindacati leggono tutt’altro: una riduzione drastica delle attività, un rischio concreto di spegnere progressivamente la fabbrica e di lasciare a casa migliaia di lavoratori.
Più cassa integrazione, meno produzione
Il piano, in vigore dal 15 novembre, prevede una rimodulazione dell’attività produttiva che comporterà un forte incremento della cassa integrazione straordinaria. I numeri parlano chiaro: si passerà da 4.550 a 5.700 lavoratori coinvolti, fino a sfiorare le 6.000 unità con l’inizio del 2026. Una scelta che il Governo giustifica come necessaria per garantire la manutenzione e la sicurezza degli impianti, ma che a Taranto viene percepita come un passo indietro. Per i sindacati, è l’ennesimo segnale di una crisi che si allarga invece di ridursi.
Gli impianti tra manutenzioni e attese
Nel periodo compreso tra novembre 2024 e febbraio 2026, l’azienda in amministrazione straordinaria dovrà intervenire su altoforni, acciaierie e treni di laminazione. Si tratta di operazioni complesse e costose, necessarie per mantenere la continuità produttiva e la sicurezza dei lavoratori. Ma anche qui c’è una condizione: dal marzo 2026, ulteriori interventi dovranno essere sostenuti dal futuro acquirente, segno che il Governo punta a una rapida staffetta industriale più che a una gestione diretta di lungo periodo.
Acciaio green, la scommessa italiana
Il cuore del progetto resta la transizione verso un’industria siderurgica a basse emissioni. L’Italia vuole essere il primo Paese europeo a produrre esclusivamente acciaio verde. La tabella di marcia prevede lo spegnimento delle batterie di cokefazione più vecchie, l’acquisto del coke all’estero e la riconversione progressiva dei forni. A metà gennaio, uno solo degli altoforni sarà operativo, in un delicato gioco di equilibrio tra produzione e riconversione. L’obiettivo: non fermarsi mai del tutto, ma cambiare direzione.
Europa, mercati e nuovi investitori
Mentre a Bruxelles si discute del nuovo pacchetto per la sicurezza economica e della revisione del meccanismo CBAM, l’Italia si prepara a difendere il suo acciaio in sede europea. Intanto, sul fronte industriale, si moltiplicano i contatti con potenziali investitori: i fondi Bedrock e Flacks Group restano in prima linea, ma il Governo ha aperto anche un canale con un nuovo operatore straniero, probabilmente del Qatar. Un accordo di riservatezza è già stato firmato e le trattative sono in corso, segno che la partita è tutt’altro che chiusa.
Il nodo della decarbonizzazione
Con il supporto della Regione Puglia, l’esecutivo si impegna a finanziare la realizzazione dell’impianto di preridotto (Dri) e dei nuovi forni elettrici, pilastri della transizione verso la produzione pulita. L’intervento, stimato in quattro anni, richiede anche una nuova infrastruttura energetica. Il Governo promette gas a prezzi competitivi tramite condotte terrestri, mentre è stata accantonata l’ipotesi della nave rigassificatrice, bocciata dal Comune di Taranto per motivi ambientali.
Reindustrializzare Taranto, un’occasione da non perdere
Il piano individua oltre 800 ettari di aree industriali da riconvertire, tra spazi Ilva, demanio portuale e militare. L’obiettivo è attirare nuovi investimenti nei settori energetico, logistico e meccanico, favorendo la nascita di poli tecnologici e manifatturieri. In parallelo, il Tavolo Taranto dovrà coordinare le iniziative pubbliche e private per trasformare la città in un laboratorio di innovazione industriale e ambientale.
Tra speranza e sfiducia
L’ex Ilva resta una ferita aperta nel cuore del Sud. Il piano presentato dal Governo promette di cambiare tutto in quattro anni, ma per molti tarantini l’attesa dura ormai da decenni. La sfida non è solo tecnica o economica: è sociale. Riuscire a conciliare lavoro, ambiente e sviluppo sarà la vera misura del successo o del fallimento di questo nuovo tentativo di rinascita.
12 Novembre 2025
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